

“Non sei nemmeno un vero soldato. Sei solo un giocattolo con un cappello”, sogghignò il ragazzo, la sua voce che squarciava il silenzio rispettoso come un coltello. Un sussulto si levò dalla piccola folla radunata presso la tomba del milite ignoto.
Un luogo destinato a un solenne ricordo. Telecamere abbassate. Una donna si stringeva il petto.
Ma il ragazzo, sui quindici anni, con l’energia arrogante di un riccone che emanava, non aveva ancora finito. Si pavoneggiava davanti alla guardia cerimoniale, tirando fuori la lingua a pochi centimetri dal volto impassibile del soldato. Scommetto che non ti è permesso muoverti, eh? Sei solo una statua con un battito cardiaco.
La guardia rimase immobile, con il fucile al fianco, gli occhi fissi in avanti come il granito, addestrato, irremovibile, decorato con un’uniforme immacolata sotto il sole cocente, non sussultò, non batté ciglio e non reagì.
Ma l’energia nell’aria era cambiata, non era solo mancanza di rispetto, era profanazione. Una madre si fece avanti, sussurrando: “Qualcuno lo fermi”. Non è divertente, quell’uomo è un eroe di guardia.
Ma il padre del ragazzo, un uomo alto e compiaciuto in abito firmato e occhiali da sole, ridacchiò. “Che si diverta, è solo uno spettacolo, questi ragazzi vengono pagati per fingere”. Poi, all’improvviso, l’acciaio incontrò il tuono, la guardia scagliò il fucile in posizione, si girò con forza precisa e fece un passo avanti, colpendo la pietra con lo stivale con furia militare.
La sua voce eruppe, potente e fredda, “State lontani dalla sentinella, questa è terra sacra”. Il ragazzo fece un balzo indietro, inciampando sui propri piedi. La folla sussultò di nuovo, questa volta più forte, e i telefoni iniziarono a registrare…
E proprio così, l’arroganza del ragazzo si incrinò. Per la prima volta, il suo sorriso svanì. La disciplina del soldato era incrollabile, ma ora aveva tracciato una linea, un passo più vicino, e tutto questo non sarebbe più stato un cerimoniale.
Il ragazzo guardò il padre, ma l’uomo non parlò, anche il suo sorriso era scomparso. Metà della folla lo fissava con disgusto, l’altra metà con stupore. Un giovane veterano in sedia a rotelle lì vicino salutò in silenzio, con le lacrime agli occhi.
Poi, una voce ruppe il silenzio. Non capiva cosa rappresentasse quell’uomo. Proveniva da una donna anziana, fragile, dai capelli grigi, con una fotografia stropicciata tra le mani.
La gente si voltò a guardare. Lei si fece avanti, tenendo delicatamente in mano una foto in bianco e nero di un giovane in uniforme. “Quello è mio fratello”, disse con voce tremante ma ferma.
Non tornò mai a casa dalla guerra. Il suo corpo non fu mai ritrovato. Quella tomba è per lui.
La folla tacque, lei si voltò verso il ragazzo. Quel soldato che hai deriso? Se ne sta lì in piedi così che gli altri non debbano farlo, sta custodendo più di una semplice pietra, sta custodendo il sacrificio. Il ragazzo abbassò lo sguardo, la vergogna gli insinuava lentamente sul volto.
E poi, il soldato tornò in posizione. Tornò il silenzio, il sole tramontò, ma questa volta il ragazzo non rideva, abbassò le spalle, si voltò verso la vecchia… donna. Io… io non lo sapevo, pensavo fosse solo per finta.
Lei non urlò, gli porse semplicemente la foto. Lui fissò il giovane nella foto, occhi luminosi, mascella affilata, speranza nel sorriso. Non molto più grande di lui, un nome scarabocchiato sul retro con inchiostro sbiadito.
Soldato semplice David M. Carter, 1944. Poi qualcosa cambiò. Il ragazzo tornò dal soldato, questa volta lentamente, umilmente.
Si fermò sulla corda, a piedi uniti, e salutò, rigido, impacciato ma sincero. La folla osservava in silenzio. Nessuno osava parlare…
E la guardia. Per una frazione di secondo, solo un guizzo. I suoi occhi si mossero, appena percettibili ma colmi di qualcosa di inespresso.
Rispetto. Riconoscimento. E poi ritorno alla quiete del dovere.
Il padre posò la mano sulla spalla del ragazzo, più silenzioso di quanto non fosse stato per tutto il giorno. “Gli dobbiamo delle scuse”, disse, con gli occhi fissi sulla tomba. E fu allora che la folla, come in un silenzioso accordo, iniziò ad applaudire.
Non ad alta voce, ma solennemente. Un’ondata d’onore. Uno dopo l’altro, estranei uniti dalla riverenza.
Un’insegnante, un motociclista, una madre con il figlio, un veterano con il berretto, applausi che non erano per intrattenimento, ma per ricordo. Il ragazzo restituì la foto alla donna, con le lacrime agli occhi. Mi dispiace, per tutto.
Lei annuì. Ricordati solo di lui. E con questo, se ne andarono, a testa bassa, con il cuore più pesante, ma cambiati.
Alcuni luoghi non sono fatti per le battute. Alcune uniformi non sono costumi. E alcuni silenzi parlano più forte delle parole.
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